Con l’arrivo nelle sale italiane di 28 anni dopo, il celebre regista britannico Danny Boyle ha concesso un’intervista esclusiva a Gianluca Gazzoli in collaborazione con Sony Pictures Italia. Un incontro speciale, che segna il ritorno dietro la macchina da presa del regista che, nel 2002, rivoluzionò il genere zombie con 28 giorni dopo.
Questa volta, Boyle punta ancora più in alto: 28 anni dopo è solo il primo capitolo di una trilogia firmata da Alex Garland, sceneggiatore e regista di culto. «Garland ha scritto tre film», spiega Boyle. «Sono storie autonome, ma legate da ambientazioni e personaggi comuni. Cillian Murphy, che in questo primo capitolo è produttore esecutivo, tornerà anche nei prossimi due».
Tra i temi emersi durante l’intervista, colpisce la riflessione del regista sul cambiamento del pubblico dopo la pandemia. «Quando girammo il primo film, sembrava fantascienza», racconta Boyle. «Oggi, dopo il Covid, tutti sanno cosa vuol dire vivere in quarantena. È diventato un elemento emotivo potentissimo, condiviso da attori e spettatori».
Il film si apre in un luogo tanto suggestivo quanto reale: Holy Island, un’isola ricostruita combinando paesaggi naturali ed effetti digitali. «Volevamo aprire con un’immagine potente, un vero e proprio rito di passaggio per un gruppo di bambini che abbandona l’isola. È il loro ingresso nell’età adulta», spiega Boyle.
Fedele alla sua vocazione per la sperimentazione, il regista ha voluto coinvolgere voci nuove anche nel comparto musicale, come gli Young Fathers, alla loro prima esperienza cinematografica. «Mi piace rischiare», confessa. «È così che scopri cose di te stesso e del tuo film che non avresti mai immaginato».
A chiusura dell’intervista, Boyle lascia spazio a una sorprendente rivelazione sul suo futuro: «Mi piacerebbe dirigere un musical, con musica originale e magari un’orchestra. È una sfida, ma amo la musica. È una delle cose più belle della vita».